La Bambina


La bambina doveva avere circa sette anni.
Arrivò al rifugio una sera d'inverno, accompagnata da un volontario della missione umanitaria. L'avevano trovata nascosta in una buca, semi-intorpidita dal freddo.
A giudicare dalle escoriazioni e dalle condizioni delle calzature, pareva che avesse camminato per giorni. Nessuno sapeva da dove fosse venuta. Era probabile che provenisse da uno dei tanti campi profughi bajoriani del pianeta ma, senza un riferimento, era quasi impossibile determinare quale.
La bambina non parlava. Non era muta, ma non parlava. I medici della missione umanitaria che le avevano prestato le prime cure avevano cercato inutilmente di scoprire come si chiamasse.
Un nome sarebbe stato un buon indizio, anche se non esistevano registri o elenchi dei profughi che permettessero di risalire ai parenti, se ne aveva.
Quando la bambina era arrivata, Miranda Vigo assisteva già nel suo rifugio una trentina di piccoli orfani. Avrebbe voluto ospitarne meno, per poter dedicare loro tutte le attenzioni di cui avevano bisogno, ma la situazione non glielo permetteva. Le condizioni dei profughi erano pessime e i raid cardassiani, a caccia di terroristi, diventavano sempre più frequenti e spietati. L'ultimo bombardamento aveva raso al suolo un ospedale da campo.
Si trovavano all'interno dell'impero cardassiano, per cui la Flotta Stellare non poteva intervenire. Si parlava sempre più spesso di far rientrare le missioni umanitarie.
Miranda non era del tutto certa che avrebbe lasciato la Terra, se avesse saputo quello che la aspettava. Non era preoccupata per se stessa, ma per suo figlio. Temeva di averlo trascinato in qualcosa di più grande di lui anche se, a dire il vero, Jason non le aveva mai fatto mancare il suo sostegno. Non si era mai resa conto di quanto fosse maturo, fino a quel momento. Avrebbe potuto essere geloso delle attenzioni che dedicava agli altri bambini, invece cercava di aiutarla. In un certo senso, si poteva dire che dove non arrivava lei arrivava lui.
I bambini si fidavano di Jason, perché lo vedevano come uno di loro. Tutti tranne la bambina che non parlava, s'intende. Non che Jason non ci avesse provato. Benché fosse più piccolo di lei, Miranda l'aveva sorpreso diverse volte a difenderla da un compagno prepotente o a tentare invano di coinvolgerla in un gioco di gruppo.
Dopo un primo momento di timore, che aveva fatto del suo meglio per non dare a vedere, la bambina era passata a una fase di fiera resistenza. Stava tutto il tempo per conto suo, seduta in un angolo. Accoglieva con estremo sospetto qualunque gesto di tenerezza o tentativo di socializzazione. L'unica cosa a cui si dedicasse con un certo impegno era mangiare ma, benché divorasse ogni pasto come se fosse l'ultimo, restava sempre magra come un fuscello.
Alcuni dei ragazzi la prendevano in giro. Un giorno, mentre Miranda era fuori per le commissioni, uno dei più grandi la picchiò selvaggiamente. La bambina si difese con le unghie e con i denti, poi, vedendosi sopraffatta, si raggomitolò nella polvere e subì senza un lamento, finché gli altri, sollecitati da Jason, non accorsero in suo aiuto. Questo fu quanto le riferì suo figlio.
Miranda non disse niente alla bambina. Si limitò a prenderla da parte, curarle le ferite e darle un bicchiere di latte caldo con miele.
La bambina non piangeva mai e non abbassava lo sguardo davanti a nessuno. Presto i ragazzi cominciarono a chiamarla Bin-bei, come il piccolo albero che sorgeva sulle rive dei ruscelli di Bajor, fragilissimo all'apparenza ma resistente più dell'acciaio. In breve tempo, fu Bin-bei per tutti. In fondo, era meglio chiamarla così che non chiamarla affatto.
Miranda aveva deciso di non forzarla in alcun modo. Non pretendeva nulla ma, con naturalezza, le rivolgeva le stesse piccole, tenere attenzioni che dedicava a tutti i suoi bambini, come rimboccarle le coperte e sussurrarle all'orecchio qualche parola affettuosa, prima di andare a dormire. Bin-bei non mostrava alcun segno d'apprezzamento. Eppure, Miranda era convinta che fosse assetata d'affetto come qualunque altro dei suoi ragazzi, forse di più.
Come una pianta secca bisognosa d'acqua, Bin-bei assorbiva le sue gentilezze in silenzio. Miranda aspettava pazientemente che rifiorisse.
Doveva ammettere che provava un sentimento speciale per quella bambina. Bin-bei affrontava il mondo con i pugni chiusi e uno sguardo di sfida. Le ricordava se stessa. I suoi genitori e tutti i suoi amici l'avevano presa per matta, quando aveva espresso il desiderio di lasciare la sua bella casa sulla Terra per andare a prendersi cura dei diseredati in qualche mondo lontano. Ma lei aveva fatto di testa sua.
Jean-Luc Picard, un ufficiale della Flotta con cui aveva avuto una breve ma appassionata relazione, diceva che lei era la donna più testarda e indipendente di sua conoscenza. Aveva ragione. Probabilmente, se da piccola avesse vissuto l'esperienza dell'occupazione e dell'esilio, sarebbe diventata esattamente come Bin-bei. Così, le capitava di guardare quella bambina con un occhio particolare.
La svolta avvenne circa tre settimane dopo l'arrivo di Bin-bei. Miranda stava preparando il pranzo. Bin-bei entrò in cucina e si accostò al tavolo. Per un po' la osservò in silenzio, poi prese i legumi e cominciò a tagliarli, imitandola. Lei la lasciò fare, senza dire nulla, timorosa che una sola parola o un solo gesto potessero rovinare la perfezione del momento. Si sentiva come quando, da piccola, dopo giorni di tentativi, era riuscita a indurre un capriolo selvatico a venire a mangiarle in mano.
Da quel giorno, Bin-bei non l'aveva lasciata un istante. La seguiva, l'aiutava nelle faccende domestiche e nell'orto, s'immusoniva quando le sembrava che dedicasse più attenzione a qualcun altro che a lei. Ancora non parlava, ma aveva fatto notevoli progressi dal giorno del suo arrivo.
Poi accadde il fatto che Miranda non avrebbe scordato per tutta la vita. I volontari della missione umanitaria avevano portato al rifugio un pilota cardassiano ferito. Aveva rischiato il linciaggio da parte dei pazienti bajoriani. Mentre lo portavano dentro, Bin-bei lo guardò in un modo che Miranda non riuscì a capire, come se ne fosse affascinata. Poi, come se gli ultimi giorni non fossero mai esistiti, si chiuse in se stessa e rimase seduta in un angolo fino all'ora di andare a dormire.
Miranda era sempre l'ultima a coricarsi. Quella notte, prima di andare a letto, pensò di andare a controllare le condizioni del paziente. L'ultima persona che si sarebbe aspettata di trovare in quella stanza era Bin-bei. Stava in piedi accanto al cardassiano addormentato, con un coltello da cucina in mano e un'aria incredibilmente calma.
"Bin-bei..." sussurrò Miranda.
La bambina sembrò non sentirla. Miranda dovette chiamarla altre due volte, perché desse segno di essersi accorta della sua presenza.
"Bin-bei, dammi il coltello", la esortò, con una calma che in realtà non possedeva affatto.
Bin-bei la guardò come se non la riconoscesse.
"Sono io, Miranda. Vieni qui, piccola, dammi il coltello."
Lentamente, come in trance, la bambina venne verso di lei. Miranda allungò una mano, e Bin-bei vi depose l'arma. Lei sospirò di sollievo. Diede un'occhiata al cardassiano, ancora addormentato, poi circondò con un braccio le spalle della bambina e la condusse fuori dalla stanza.
In cucina, si sedette sulla sedia a dondolo e si adagiò Bin-bei sulle ginocchia. La cullò dolcemente, come se fosse una bimba appena nata.
"Non è successo niente", sussurrava, accarezzandole il caschetto di capelli corvini. "Non è successo niente."
Bin-bei la lasciò fare per un po', poi, inaspettatamente, parlò.
"Io non ho paura", disse. "Non piango, vedi?"
"Sì, lo vedo", riconobbe lei, facendo del suo meglio per non palesare la sorpresa.
"Io sono più forte di loro", continuò Bin-bei. "Posso ucciderli, se voglio. Non mi faranno del male."
"Nessuno ti farà del male", la rassicurò lei, continuando a dondolarsi e accarezzarla.
"Io non sono come lui."
"Lui chi? Di chi stai parlando?" domandò Miranda, cercando di non mostrarsi ansiosa. Sentiva che stava per arrivare a una svolta, che stava finalmente per capire.
"Papà", rispose la bambina in tono un po' stupito, come se stesse spiegando qualcosa di ovvio.
"Che cosa è successo a papà?" domandò Miranda.
Bin-bei la guardò con sospetto. "Loro gli hanno fatto male. Volevano fargli dire qualcosa."
"Chi sono 'loro'? I cardassiani? I cardassiani hanno fatto del male al tuo papà?"
Bin-bei annuì. "Lui non parlava, e loro gli facevano male. Lui gridava."
Di scatto, la bambina chiuse gli occhi e si premette con forza le mani sulle orecchie, come se sentisse ancora le urla.
"Gridava, gridava... e loro gli dicevano delle brutte parole e lo prendevano in giro, poi l'hanno buttato per terra e lui ha chiuso gli occhi e non si è svegliato più. Ma io non sono come lui. Non sono come lui!" ripeté, quasi gridando.
Miranda la prese delicatamente per i polsi e la costrinse ad abbassare le mani.
"Tu eri lì?" le domandò, con l'espressione più tranquilla e il tono più dolce di cui era capace. In realtà, l'angoscia le attanagliava il cuore. Avrebbe voluto piangere e abbracciare quella bambina forte forte, ma doveva stare calma, per non distruggere il lavoro che aveva fatto fino a quel momento.
"Eri presente quando facevano quelle cose a tuo padre?"
Bin-bei si limitò a guardarla, ma c'era qualcosa in quegli occhi che valeva più di cento discorsi. Quella bambina aveva visto i cardassiani torturare a morte suo padre, poi era stata lasciata libera, o forse era fuggita, e aveva vagato da sola per giorni, oppressa da ricordi insostenibili. Era un miracolo che non avesse perso del tutto la ragione.
"E' tutto finito", mormorò lei, stringendola a sé e baciandola sulla fronte. "Non devi vergognarti di avere paura. Possiamo anche piangere, se stiamo male. Il tuo papà è stato coraggioso. Non ha parlato, a costo della vita. E anche tu sei coraggiosa. Non hai bisogno di uccidere nessuno per provarlo. Non c'è nessuna gloria nel fare del male a una creatura indifesa. E anche quel cardassiano forse ha una famiglia, una bambina come te, non ci hai pensato? Forse anche lui qualche volta ha avuto paura. Tutti ce l'hanno, prima o poi."
Bin-bei la guardò e, per la prima volta da quando Miranda la conosceva, nei suoi occhi affiorarono le lacrime. Lei le accarezzò il viso.
"Come ti chiami, piccola mia? Forse qualcuno, adesso, ti sta cercando."
Il suo nome era Laren, Ro Laren. Riuscirono a rintracciare sua madre, in uno dei campi profughi della provincia. Lo stesso volontario che l'aveva portata al rifugio, venne a prenderla per ricondurla da lei. Aspettò accanto all'aeromobile, mentre loro si dicevano addio.
"Non posso restare con te?" domandò Laren, speranzosa.
"No, la tua mamma ti aspetta. E comunque io non resterò ancora per molto. Dicono che qui non è più sicuro. Dovrò ricominciare da capo, da qualche altra parte. Probabilmente anche voi dovrete andarvene."
"Potremmo venire con te."
Miranda sorrise. "Tu devi stare con la tua gente. E poi hai già qualcuno che ti ama. Io devo pensare a chi non ha nemmeno questo."
"Io non resterò qui per sempre", disse la bambina, spingendo in fuori il piccolo mento con aria decisa.
"Lo so."
"Voglio dire che me ne andrò. Me ne andrò lontano."
Da tutto questo, intendeva, ma non lo disse ad alta voce.
"Lo so. E so che ce la farai. E se vorrai, un giorno potrai venire a trovarmi."
Laren annuì. Poi, inaspettatamente, l'abbracciò. Rimasero così per qualche istante, in silenzio, strette l'una all'altra. Fu un attimo di eternità. Poi la bambina si staccò, bruscamente, e corse via senza voltarsi indietro.
"Addio, Bin-bei", mormorò Miranda, asciugandosi una lacrima.
Quella fu l'ultima volta che la vide. Nei mesi e negli anni successivi, le capitò, di tanto in tanto, di chiedersi che cosa ne fosse stato di lei, ma con curiosità, non con preoccupazione. La conosceva, e sapeva che poteva cavarsela in qualunque situazione. Era sopravvissuta a una delle esperienze peggiori che una bambina potesse affrontare. Poteva sopravvivere a qualunque cosa. Era forte come il piccolo albero di cui per un po' aveva portato il nome.
E per Miranda non ne avrebbe mai avuti altri. Nel suo ricordo, sarebbe per sempre rimasta Bin-bei.

Fonte: Laura Iuorio Official Website